UNA MISSIONE DA RICORDARE

di Michela


Parte 1

Joe appoggiò i gomiti al parapetto dell’enorme palazzo ed osservò il buio davanti a sé, il vento gelido che gli penetrava nelle ossa… aveva freddo, ma lo faceva sentire vivo.
Più in basso, alcune luci provenienti dagli edifici vicini rischiaravano l’oscurità… fiochi barlumi contro l’immenso manto di stelle che ricopriva il cielo e colorava la notte di un blu profondo, palpitante, che si espandeva come una massa viva fino a raggiungere l’inchiostro cupo del deserto.
Pensò che i sogni non erano mai così vividi, non possedevano quella nitidezza, e quando alzò lo sguardo e si ritrovò circondato da un’infinità di stelle, in quel preciso istante in cui si lasciava immergere nell’universo che lo circondava, pensò a Françoise, a cosa avrebbe detto se fosse stata lì con lui, a come sarebbe stato condividere con lei questo momento.
Chiuse gli occhi per riprendere il controllo dei propri pensieri, delle sue emozioni, spaventato dalla consapevolezza di essersi così abituato alla sua presenza da averla trasformata in un bisogno… un bisogno che era come una ferita aperta che tentava invano di ignorare sperando che guarisse da sola, ma rimaneva lì, e faceva male…
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Doveva essere una missione diplomatica, quasi un viaggio di piacere, ma Françoise si sentiva tesa, e dopo essere riuscita a liberarsi, a fatica, del tipo che aveva tentato di abbordarla, fece scorrere lo sguardo intorno alla grande sala.
Gli enormi lampadari di cristallo rendevano opaca  la parete in vetro che dava sul giardino pensile e riflettevano luce sulla tappezzeria chiara e sullo scintillante pavimento in marmo bianco, in cui gli abiti e i gioielli delle signore risaltavano come macchie di colore… nell’insieme un ambiente opulento e splendente in cui tutti sembravano a loro agio, tutti, eccetto lei.
Afferrò un bicchiere dal vassoio che le si era parato di fronte in quel momento, per ingurgitarlo senza nemmeno chiedersi di cosa si trattasse… l’importante era che fosse alcolico.
Continuando a guardarsi intorno individuò Jet e Bretagna che ridevano, probabilmente per qualche stupida battuta di uno dei due, e poco più in là, vicino al tavolo del rinfresco, c’era Albert impegnato in una conversazione con una signora di mezza età… lui aveva la sua solita espressione gelida,  mentre non riusciva a scorgere il viso di lei…
Proseguì la sua ricerca ma non riusciva a trovare il sultano da nessuna parte, nonostante fosse il padrone di casa e l’artefice di questo ricevimento, e soprattutto non riusciva a rintracciare Joe, e non poteva fare a meno di avvertire una sorta di inquietudine.
Dove accidenti si era cacciato?
E possibile che nessuno se lo chiedesse a parte lei? La cosa la irritava sensibilmente.
Tutti gli altri neppure la prendevano sul serio, come se non riuscisse a ragionare con lucidità quando si trattava di lui… purtroppo a volte temeva che fosse davvero così.
Eppure, fino a poco tempo fa, aveva deciso che la sua vita doveva prendere una direzione diversa… aveva fatto di tutto per non farsi sopraffare dalle proprie emozioni e si era sforzata di comportarsi con tutto il raziocinio e buon senso possibili, consapevole che per lei era arrivato il momento di crescere, di ricominciare.
Insomma, aveva evitato accuratamente di continuare a montarsi la testa con false idee romantiche, o di mostrarsi invadente, ed aveva fatto anche un buon lavoro le pareva…
Ma siccome gli voleva bene, e non poteva farci niente, aveva sofferto come un cane…aveva pianto tutte le notti nella solitudine del suo letto e di contro aveva sempre sorriso, sempre tentato di mostrarsi allegra, positiva, di fronte a lui, per fargli comunque capire che era lì per lui se lo voleva, e anche se non lo voleva, perché non poteva farne a meno…
Tutto qui quello che aveva fatto.
Ammetteva che senza neppure accorgersene guardava il suo bel volto con un desiderio che sapeva sbagliato, e che a volte aveva avvertito un connubio che l’aveva spaventata, un trasporto che aveva riconosciuto ed aveva tentato disperatamente di arginare - perché anche lui, anche lui l’aveva guardata con tenerezza, l’aveva accolta nel suo mondo, in un pezzetto del suo cuore - , ma era stata abbastanza forte da non credere mai, neppure per un secondo, che potesse esserci qualcosa di più tra loro.
Erano amici, e aveva imparato a farselo bastare…ma era stato sufficiente un momento, un solo maledettissimo gesto,  e tutti i suoi buoni propositi erano andati in fumo.
In un certo senso era stato inevitabile giungere a quel punto, a quell’incontro, perché non si poteva rimandare un confronto all’infinito, e prima o poi dovevano pur arrivare a parlare di quella maledetta volta in cui lei lo aveva quasi ucciso – anche se involontariamente certo -, così una sera si era decisa a tirare fuori quella non così vecchia storia che le stava ancora sullo stomaco e che le pareva rappresentasse una barriera tra loro.
Aveva a cuore la loro amicizia, solo l’amicizia, si era detta.
Così da brava persona ben intenzionata e civile si era sforzata di spiegargli cosa aveva creduto di fare in quel momento che ricordava con angoscia, di come da stupida avesse pensato che fosse la cosa migliore, no, l’unica scelta possibile…
E poi, finalmente, gli aveva chiesto scusa, ovviamente con le lacrime agli occhi come una bambinetta, ma non importava, era stata felice di lasciarsi andare e di liberarsi finalmente di quel peso.
Si era trattato di un momento importante, in cui aveva tirato fuori tutta se stessa, in cui si era scoperta e mostrata vulnerabile di fronte a lui, forse per la prima volta veramente…
E lui?
Le aveva detto che a lui non importava, che non importava più, e non si era sognato di dare uno straccio di spiegazione di quello che aveva provato, di quello che gli era passato, o gli passava, per la testa, come se non fosse stato niente.
Come se non fosse niente.
E pazienza se fosse finita lì, in fondo non si aspettava chissà quale dichiarazione strappalacrime da parte sua e neanche voleva caricarlo di problemi… e poi sapeva già che davvero era tutto passato, morto, come sentiva con una certezza che non poteva spiegare, che era più di un istinto, che lui le voleva veramente bene…
Per cui si era quasi fatta bastare quella non-risposta, ed aveva sorriso perché comunque lui l’aveva ascoltata, comunque l’aveva a modo suo rassicurata.
Quello che l’aveva completamente colta di sorpresa e mandata in confusione era ciò che era successo dopo, quel piccolo gesto che se ci pensava non era niente, eppure poteva essere tutto, ed aveva cambiato tutto tra loro.
Le aveva dato un leggero bacio sulle labbra.
E poi l’aveva lasciata immobile come un’allocca, con il cuore in fermento e un’agitazione che non provava da tempo, che forse non aveva provato mai.
Il problema era che per quanto tentasse di dirsi che non era niente, non era niente, non era niente, era tornata nella sua stanza camminando ad un metro da terra, con il cuore che pareva esplodere di felicità, colmo di aspettative, di speranza, e non vedeva l’ora di rivederlo il giorno dopo, di scoprire cosa sarebbe successo, perché era un inizio, non poteva che essere un inizio, e per lei era così importante, così incredibilmente importante.
E invece… invece niente, niente di niente, il giorno dopo, quando lo aveva visto uscire dalla base, lo aveva chiamato e c’era stato quel preciso istante in cui lui si stava voltando e lei si aspettava qualcosa, qualsiasi cosa: un sorriso, un cenno, qualsiasi stramaledettissima cosa, non quel niente, quell’indifferenza… come se non fosse mai successo niente.
Era rimasta lì con il volto impietrito… così profondamente, disperatamente, delusa.
Sapeva di averlo scritto in faccia, doveva averlo scritto in faccia, ma intanto lo aveva raggiunto ed aveva avuto il tempo di trovare un’espressione consona, falsissima, quasi accettabile, come se non importasse niente neppure a lei.
E così era stato davvero come se non fosse successo niente, solo che era successo, se lo ricordava bene, se lo sarebbe ricordato per tutta la vita accidenti a lui, l’aveva baciata, e non poteva credere che fosse stato soltanto un gesto di pura amicizia…
Ma evidentemente si era solo illusa, e da allora purtroppo viveva costantemente in una sorta di equilibrio precario, sempre in bilico, pronta a crollare, o ad esplodere.
Per questo lo evitava…
“Françoise!” la fece sobbalzare Catherine che l’aveva raggiunta e sembrava raggiante…
Non aveva voluto andare sola in quella missione ed aveva deciso di portare con sé la sua migliore amica… dopotutto, il sultano del Barein aveva chiaramente offerto loro di condurre un accompagnatore ciascuno e lei ne aveva approfittato… e poi Catherine conosceva bene il suo passato… ed ultimamente, causa anche la recente rottura con lo storico fidanzato, si vedevano così spesso che la giovane era diventata una sorta di membro acquisito della squadra cyborg…
“Dove hai mollato il tipo?” le chiese lei ritornando al presente…
“In giro… non posso limitarmi ad uno con tutto questo ben di Dio! Devo giostrarmi e fare una scelta oculata!...”
A quanto pareva Catherine aveva la ferma intenzione di recuperare il tempo perduto… era da quando erano arrivati nel Barein che si guardava intorno con occhi che brillavano… non che Françoise si lamentasse, almeno aveva desistito dalla fissazione di appiccicare qualcuno anche a lei, e se non fosse stato che al momento non riusciva ad interessarsi a nessun altro - anche se quel «al momento» era… ehm… lunghetto – le avrebbe anche dato man forte… forse...
Mentre ascoltava Catherine che sproloquiava notò Joe che emergeva dalla porta che conduceva al giardino pensile, da solo, sano e salvo a quanto pareva, e presto veniva raggiunto da Jet e Bretagna che sembravano fuori di testa per qualche motivo sicuramente idiota.
Va bene, forse era un po’ paranoica, Joe si era solo assentato un po’ per prendere fiato, lo capiva.
Catherine aveva seguito il suo sguardo ed aveva sbuffato…
“C’è stato un periodo in cui speravo te la fossi fatta passare…”
“Anch’io, infatti sono infuriata con me stessa…”
“Senti tesoro…” le fece l’altra con un’aria pensosa, come se stesse meditando, e quando Catherine meditava era pericolosa “…non è così grave, ne parlavo con Jet ed ha delle teorie in proposito…”
“Ah beh, allora siamo a posto…”
“Davvero!...” replicò l’altra per niente scoraggiata “…Jet ha alcune idee niente male su Joe…”
“Non so se voglio conoscerle…”
“E invece devi! Sostiene che tu gli interessi moltissimo e che…”
Si erano interrotte per salutare con un cenno l’assistente del sultano, che stava passando lì vicino assieme ad una delle figlie del sovrano, e che subito dopo si fermò per chiacchierare... la donna era molto bella e simpatica, pensò Françoise osservandola con una certa invidia e sistemandosi in automatico l’abitino nero e attillato che le aveva prestato Catherine.
Possibile fosse l’unica che non arrivava alla terza di reggiseno lì dentro?  
”Mi chiedevo dove fosse il sovrano…” chiese loro spudoratamente, sfornando il suo sorriso migliore, Catherine che la fulminava con lo sguardo perché sapeva bene il vero scopo della domanda…
Ascoltò la risposta sempre sorridendo, a quanto pareva si era assentato per ricevere altri ospiti e sarebbe tornato subito, niente di sospetto, così avevano cambiato argomento, e alla domanda su come stava andando la serata Catherine aveva commentato positivamente tutto, dal buffet alla fauna maschile…
“Non che noi in Europa possiamo lamentarci…” aveva aggiunto per una sorta di ridicolo patriottismo…
“Sicuramente no…” approvò la donna, con l’occhio rivolto verso Joe ed Albert, più Joe a dire il vero, il che la rendeva non più così simpatica come prima “…la vostra delegazione si distingue da questo punto di vista…”
Françoise fermò un cameriere per farsi dare qualcos’altro da bere, aveva sete e la serata si prospettava lunga…
“Già, ad esempio Albert è proprio un bel ragazzo, vero Françoise?...” aveva suggerito Catherine dandole una leggera gomitata, perché la conosceva fin troppo bene “…è anche una carissima persona…”
“Sì certo, ma io personalmente preferisco i tipi belli e dannati… Shimamura è libero?” si era decisa a chiedere con finta nonchalance l’altra…no, per niente simpatica…
“No purtroppo…” mentì spudoratamente Catherine, mentre a lei quasi andava di traverso quello che stava bevendo…
“No? Che peccato!  E chi è la fortunata?”
Beh, fortunata era una parola grossa con un elemento del genere, pensò acidamente Françoise mentre aspettava la risposta di Catherine, curiosa ed anche discretamente preoccupata…
“Albert!...” disse l’altra studiandosi un’unghia…
Ed era anche seria, come se non avesse sparato una balla colossale per il puro gusto di dirla oltretutto…
“Oh… oooh!...”
“È un segreto, non hanno ancora fatto coming-out…” continuò quella disgraziata con un’aria da cospirazione mentre lei faceva cenno al cameriere di riempirle nuovamente il bicchiere.
La donna aveva nascosto splendidamente la delusione mentre l’assistente del sultano pareva perplessa anche se non aveva commentato, e lei si sentiva le guance arrossate, imbarazzata senza motivo.
Finalmente quelle due si erano allontanate, dopo che la figlia del sultano le aveva pure ringraziate per l’informazione, e subito dopo Françoise si era voltata a guardare Catherine che esibiva un ghigno satanico…
“Non so quali implicazioni possano esserci da un punto di vista prettamente politico, spero nessuna, ma lo sai che se scopre che le hai mentito, e prima o poi lo scoprirà, sono guai…”
”Albert è il primo nome che mi è venuto in mente…” minimizzò l’altra “…e poi era solo uno scherzo, va bene? E tu dovresti ringraziarmi…anche per questa sera la virtù del tuo amore è salva, ma non credere che possa durare a lungo, se non ti muovi te lo soffiano sotto il naso…”
Stava giusto rispondendo a questa ridicola pseudo-verità quando aveva visto quelle due avvicinarsi al posto in cui Jet e Bretagna, assieme ad Albert, stavano ancora parlando con Joe...
Non avrebbero mai osato chiedere una cosa del genere…
Vero?
Vero???
”Ho l’impressione che è meglio se ci allontaniamo…” mormorò Catherine dopo che si erano scambiate un’occhiata.
Iniziarono a camminare lentamente verso la porta, sottobraccio, ma quando Albert si voltò dalla loro parte con un’espressione che da sorpresa si stava trasformando in qualcos’altro, accelerarono sensibilmente…
Quasi di corsa nonostante i tacchi esagerati, riuscirono ad infilarsi nella porta più vicina, quella che dava sulla terrazza, ridendo come delle pazze.


Nessuno le stava seguendo urlando, era un buon segno…
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Appena fuori erano rimaste per un momento senza fiato.
Faceva freddo e al buio non si poteva ammirare il giardino pensile ma, nonostante la luce che proveniva dalla vetrata alle loro spalle, miriadi di stelle splendevano nel cielo, innaturalmente vicine, e forse lo erano davvero... era bellissimo...
“Se solo riuscissi a sgusciare dentro e fregarmi una bottiglia!...” rovinò il momento Catherine, strofinandosi le braccia infreddolite…
“Che facciamo?” chiese lei, battendo i piedi per terra nel vano tentativo di provare a scaldarsi…
”Non so… forse moriremo qui, assiderate, e tutti quei bei ragazzi si chiederanno dov’è sparita quella meravigliosa creatura dal volto stupendo!...”
“Come no…” non era molto in vena di battute al momento, faceva troppo freddo ed era tutta colpa di Catherine “…forse dovevi perdere una scarpina, anche se sarebbe più una scarpona visto il tuo numero di piede…”
“Quanto sei spiritosa! Intanto si dice scarpetta, e poi morirai congelata anche tu sai, e magari Joe farà sesso proprio mentre stai morendo, e ci sarebbe qualcosa di simbolico in tutto questo… molto tragico…”
“Ma va’ a quel paese… se muoio è colpa tua!”
“Sei veramente un’ingrata…” sbuffò Catherine, che si era messa a saltellare sul posto per scaldarsi, e con quei tacchi non doveva essere un’impresa facile “…e pensare che l’ho fatto per te, perché altrimenti quella ci provava con il tuo amore e tu frignavi!”
“Ah. Ah. Ah….” aveva borbottato Françoise, sporgendo la testa per sbirciare all’interno della sala.
“Qualcuno ci cerca?” “Che ne so!” replicò acidamente... ”Secondo te chi si arrabbierà di più… Albert, Joe o la tipa?” “Non lo so e non me ne frega niente… però Albert non riesce a rimanere arrabbiato con me per più di due minuti…” rispose poi continuando a sbirciare all’interno e tentando di capire se potevano ritornare in sala, sempre più infreddolita “…Joe se ne frega abbastanza, per cui mi sa che vince la tipa… aspetta… c’è Jet…”
Si sporse del tutto e gli fece segno di avvicinarsi, ma l’altro si limitò a salutarla con la mano, tutto felice... era circondata da deficienti…
Con più veemenza gli fece segno di muoversi, guardandolo infuriata, e finalmente quell’idiota, dopo aver fatto una serie di gesti ridicoli, si era diretto dalla loro parte.
Appena arrivato alla porta lo trascinò all’aperto senza tante cerimonie…
“Cosa fate qui?”
“Niente, prendiamo aria…” rispose sarcastica       Catherine...
”Perché prendete aria? Avete caldo?...” l’espressione di Jet era pericolosa “…va bene che gli sbalzi ormonali possono provocare improvvise vampate di calore, ma pensavo foste ancora troppo giovani per questo…”
“Jet… sta’ zitto…” mormorò minacciosamente Catherine “…e procuraci  qualcosa per coprirci… e anche una bottiglia  di vino!”
Lo avevano spedito di nuovo all’interno raccomandandogli di non dire a nessuno che le aveva viste, e quando ormai avevano dedotto che si era perso ed avevano deciso di fregarsene e rientrare per non morire congelate, era riemerso dal nulla con una coperta e due bottiglie.
Si erano sistemate sul primo scalino che scendeva sul giardino, incuranti di rovinare il vestito, e si erano infagottate ben bene nella coperta, improvvisamente piene di allegria.
Jet si era seduto accanto a loro e non pareva soffrire il freddo, forse era lui quello cui gli ormoni facevano strani effetti…
“…da’ qua che devo dimenticare tutti i bei ragazzi che mi sto perdendo!” disse Catherine prendendo una delle bottiglie, mentre Françoise si era subito impossessata dell’altra, ne aveva bisogno anche lei - doveva dimenticarne solo uno, ma era alquanto difficile -...
Dopo un po’ loro due erano brille e ridevano allegramente senza motivo, e a volte sporgevano la testa verso la sala per sbirciare all’interno… Jet invece non aveva bevuto per niente… Catherine ascoltava rapita i suoi discorsi, ed ogni tanto scoppiava a ridere dopo averle dato una gomitata, e anche se non apprezzava tutto rideva di gusto anche lei.
“Ehi…” lo incoraggiò Catherine “…spiega a Françoise la tua interessante teoria su lei e Joe!”
Nonostante le deboli proteste di Françoise, che dopo mezza bottiglia dell’intruglio che aveva portato Jet rideva sguaiatamente per tutto, lui aveva iniziato a sproloquiare, cioè, a sproloquiare di più, e se lei non fosse stata ubriaca si sarebbe imbufalita, perché quel disgraziato sosteneva di aver notato che il suo sguardo ultimamente cadeva troppo spesso su Joe, e poi aveva aggiunto che il sopra citato Joe faceva lo stesso, anzi, una volta avrebbe addirittura occhieggiato con aria indifferente il… posteriore di Françoise - lei non ci credeva ovviamente -…
Nel frattempo Catherine era piegata in due dal troppo ridere e Françoise non riusciva proprio ad arrabbiarsi, e continuava a ridere anche lei, con le lacrime agli occhi…
“Dovresti provare a farlo ingelosire…” cambiò argomento piuttosto brutalmente Catherine, dopo aver lanciato la bottiglia vuota in mezzo al giardino, da barbara incivile…
“Allora? Non è una bella idea?”
Come se a lui fregasse qualcosa…
“Potresti regalargli dei fiori, o fare una danza rituale, si chiama lapdance, mi pare…” questo ovviamente era un Jet sghignazzante…
“Potrei mandarlo al diavolo e trovarmi un altro…” le veniva da piangere.
Cacciò in malo modo la manaccia di Catherine che voleva impossessarsi della sua bottiglia e si affrettò a bere gli ultimi sorsi facendoseli quasi andare di traverso.
“Cattiva!...” si lamentò l’altra.
Ma poco dopo rideva ancora come una pazza mentre proponeva a Françoise di presentarsi in camera di Joe quella sera stessa per provare a sedurlo.
Jet approvava, convinto che si trattasse dell’unica soluzione possibile ai loro tormentati problemi di cuore, e Catherine era sempre più esaltata dall’idea...
“Vai lì e ti spogli, lentamente mi raccomando… sotto hai un completo intimo decente spero!...” insisteva quella disgraziata, tutta presa nella parte “…non devi assolutamente toglierlo!” 
Secondo lei, gli slip doveva sfilarglieli Joe, con i denti magari... meglio non sapere da dove le venissero queste idee bislacche…
“Ce la puoi fare!...” insisteva imperterrita Catherine “…prova almeno!” e nonostante lei avesse tentato di cambiare argomento più volte, e ad un certo punto si fosse perfino tappata le orecchie, quelli avevano continuato ad insistere e insistere, ed alla fine l’avevano costretta a seguire i loro stupidi, ridicoli e fallimentari suggerimenti, o meglio l’avevano convinta, dato che ormai era completamente esaltata anche lei, e davvero non sapeva come avesse potuto farsi soggiogare così - e non l’avrebbe saputo mai dato lo stato pietoso in cui si trovava -… doveva esserci qualcosa di strano in quel liquore… non ricordava neppure bene come erano andate le cose, ricordava solo che avevano spedito Jet a spiare «il nemico» e che quando era tornato a dire che nessuno le stava aspettando e che Joe se n’era andato in camera a dormire, da solo, Catherine aveva trascinato e spintonato Françoise fino alla porta della camera di lui, e lì l’aveva abbandonata vigliaccamente portandosi dietro un Jet che avrebbe preferito rimanere a controllare… sì… controllare cosa poi…
Anche nel suo stato confusionale Françoise si rendeva conto, a momenti, che non sarebbe servito a niente e che sarebbe tutto finito con una figuraccia gigantesca da parte sua, e l’ennesimo rifiuto da parte di Joe, ma al momento anche quella consapevolezza la faceva ridere e la rendeva ancor più determinata, perché era veramente stufa di lui, e di tutti, e poi chi se ne fregava, almeno si toglieva lo sfizio e provava per l’ultimissima volta.
Ecco…
Lo avrebbe fatto, aveva voglia di farlo, e aveva voglia di lui…
E così aveva bussato…
E il resto era storia…
Una storia tremendamente imbarazzante…

 

Parte 2

Quando Joe aveva aperto lei si era appoggiata allo stipite della porta e lo aveva squadrato dall’alto in basso: era pronto per andare a dormire, ed era davvero carino con addosso una semplice t-shirt ed un paio di pantaloni morbidi.
Che scema, ovvio, era sempre carino lui… però la guardava sorpreso, chissà perché…
“Françoise!...” le chiese “…stai bene?”
“No idiota! Sono ubriaca, non vedi?”
Subito dopo lui l'aveva fatta entrare, o forse lo aveva spinto a lato ed era entrata da sola, non ricordava bene, in ogni caso si era diretta un po’ barcollante al letto a due piazze ed aveva iniziato a spogliarsi, decisa a portare a termine la missione ad ogni costo… per prima cosa fece volare da qualche parte le scarpe, i tacchi erano diventati stranamente instabili, e poi…quel cavolo di cerniera non voleva scendere e si mise a tirare imprecando.
Ops… quella stupida si era rotta… Catherine l’avrebbe uccisa.
Finalmente, a forza di strattonare, riuscì a sfilarsi di dosso quel maledetto vestito e lo allontanò da sé con un calcio, soddisfatta.
Dunque, e ora? Purtroppo non riusciva più a ricordare bene i suggerimenti di Catherine e fu costretta ad improvvisare.
Sbirciò Joe, che se ne stava imbambolato accanto alla porta, e in slip e reggiseno si sistemò seduta sul materasso… vi saltellò sopra un paio di volte per provarlo - al momento le parve una mossa intelligente -, e avendo constatato che andava tutto bene vi si buttò sopra, senza avere la più pallida idea di cosa doveva fare ora, ma le veniva da ridere.
Sempre ridacchiando si mise di fianco, e dopo aver sistemato le braccia in modo da valorizzare di più il suo decolleté, si voltò a guardarlo.
Non riusciva a decifrare lo sguardo di lui, però era abituata a quella faccia da sberle e non era per niente impressionata, anzi, e quando lui si era avvicinato e l'aveva tirata per il braccio per farla alzare, l’idiota, aveva sorriso trionfante.
Grosso errore tattico, Joe.
Perché lei era forte, anche se non sembrava dalla sua esile figura, e di scatto lo aveva afferrato per le spalle, cogliendolo di sorpresa e facendolo cadere dritto sul letto insieme a lei.
Lo strinse a sé senza alcuna intenzione di mollarlo…
La missione procedeva bene, le pareva…
“Françoise…” aveva iniziato minacciosamente lui… “Voglio toccarti…” gli sussurrò lei per tutta risposta… nel frattempo aveva intrufolato le mani sotto la sua t-shirt per accarezzargli la schiena nuda, e si sentiva in estasi mentre affondava il naso sul suo collo... aveva un buonissimo profumo, ok adesso andava fino in fondo, e chi se ne fregava del domani…avevano ragione Catherine e Jet...
“Lo sai che sei mio, vero?” decretò in pieno delirio alcolico…
Joe aveva cercato di allontanarsi, con gentilezza, quasi avesse paura di farle del male, ma Françoise aveva iniziato a baciargli la linea del mento, e più su, ignorando quello strano torpore che iniziava ad impossessarsi di lei… e lui non aveva saputo opporsi… anzi… una parte del suo corpo era ben felice di quel contatto…  solo che lei sentiva la mente un po’ annebbiata ora… e poi… e poi… si era resa definitivamente ridicola addormentandosi come una cretina...
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Joe non aveva dormito molto quella notte, frustrato e arrabbiato con se stesso per le sue reazioni.
Avrebbe dovuto bloccare subito Françoise, non rimanere lì indeciso per lunghissimi, preziosi momenti a chiedersi cosa fare, soprattutto non avrebbe dovuto non riuscire a controllare il proprio corpo in quel modo…
Fortunatamente era finito tutto presto, ma a lui era parso non terminare mai, e quei pochi minuti imbarazzanti erano stati l’ennesimo eclatante segnale del fatto che lei gli suscitava reazioni fuori controllo, e che quel legame che era stato così riluttante ad accettare si era trasformato in qualcosa di pericoloso…
Per non parlare di certi impulsi che gli risvegliava…
Non gli mancava certamente la pratica in quel campo, tuttavia non pensava di ritrovarsi così… impreparato, e di reagire così irrazionalmente.
Per quello si era messo a dormire sul divano, lontano da lei, per evitare di… non lo sapeva neanche lui…
Aprì gli occhi e la guardò mentre dormiva beatamente, totalmente inconsapevole di tutte quelle sensazioni confuse, quelle emozioni nuove che risvegliava in lui.
Chissà se si era comportata così soltanto a causa dell’alcool o se davvero voleva fare l’amore con lui, e chissà se per lei era tutto nuovo, o se era un po’ più esperta… in fondo aveva pur sempre un anno in più rispetto a lui, ed una ragazza così bella doveva aver avuto molte… fermò i pensieri che stavano deviando verso territori pericolosi e chiuse ancora gli occhi… provò a rigirarsi un poco su quello scomodo divano, a disagio… una volta era così semplice sapere cosa fare, era così facile, e invece ora… tanto valeva ammettere di essere totalmente impreparato di fronte a quello che gli faceva provare.
Non era più abituato a quel tipo di vicinanza, a quel… desiderio di contatto, non sapeva come affrontarlo… come affrontarla.
In più non era sicuro di cosa volesse davvero lei, Françoise era sempre stata una persona chiara, limpida… adesso manteneva le distanze e non lo guardava più adorante come una volta, anche se qualche volta… forse… no… non era possibile… perché avrebbe dovuto amarlo ancora? L’aveva sempre ignorata, per anni… non si meritava il suo amore, lo sapeva, non era giusto  - e lui cercava sempre di seguire quello che era giusto, a qualsiasi costo, anche a costo della sua vita per quel che valeva, o della sua felicità -...
Si girò ancora, senza pace… era rimasto sveglio troppe notti a pensare, a tentare di capire, a decidere come comportarsi, cosa fare con lei, ma per quanto ci riflettesse non riusciva a giungere ad una conclusione razionale e assennata, per cui si limitava a non fare niente, ad aspettare che tutto questo turbamento, questo… errore, si estinguesse.
Si rendeva conto che non era la soluzione migliore, e neppure gli apparteneva, perché di solito lui analizzava i dati di una situazione, decideva qual era la linea d’azione migliore e la seguiva, e l’irresolutezza, quel non sapere cosa fare con questa… cosa, lo metteva a disagio.
Non che fosse solo quello a metterlo a disagio, era anche la cosa in sé… non sapeva neppure come chiamarla… attrazione? Desiderio? Bisogno? O qualcosa di più?
Non lo capiva, proprio come non capiva lei, ma quello che capiva bene era che ormai Françoise si era insinuata nella sua vita, nei suoi pensieri - quand’era che era cambiato tutto tra loro, che aveva iniziato a guardarla in modo diverso? -, e per quanto si sforzasse non riusciva a togliersela della testa.
L’aveva perfino baciata…
Era stato un impulso irrazionale, ma non aveva potuto farne a meno, perché in quel momento, mentre lo guardava con quegli occhi pieni di lacrime, colmi di tormento, appariva così pura, così coraggiosa… così bella.
Troppo per lui…
Ed ora, proprio quando aveva creduto che si fosse allontanata, che il problema si fosse risolto da solo, lei si presentava ubriaca ed inscenava quella farsa che somigliava molto ad una tortura, e ancora una volta lo metteva di fronte al fatto che non era in grado di gestire lei e quello che gli faceva provare… a questo punto non poteva neanche più fare finta di niente, doveva affrontarla e cercare di venire a capo di quella… quella relazione confusa… decise che al mattino l’avrebbe affrontata una volta per tutte, e benché sapesse che avrebbe dovuto allontanarla, una parte di lui avrebbe voluto lasciarsi andare e non pensare alle conseguenze…
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Françoise si svegliò con un mal di testa terribile...
Maledetta Catherine… e pure Jet, anche se magari Jet non era imputabile in questo caso, non tanto quanto la sua carissima ex migliore amica...
Aprì un occhio, e poi l’altro, e aspettò di abituarsi alla luce fioca che proveniva dalla finestra.
Si voltò da quella parte e guardò la vetrata su cui iniziava a riflettersi la scarsa luce grigia dell’alba.
Anche quella camera, come ogni costruzione lì, aveva una parete in vetro, e se solo ne avesse avuto la forza si sarebbe avvicinata ed avrebbe guardato fuori, perché il panorama era mozzafiato da quelle parti, ma era a pezzi, era in biancheria intima e faceva freddo, e doveva alzarsi per andare in bagno, così magari dopo riusciva a liberarsi lo stomaco e sarebbe stata meglio.
Non ricordava molto della sera prima, ad esempio non ricordava com’era arrivata in camera.
Dunque, ricordava la stupidaggine di Catherine e la fuga, e poi erano rimaste fuori, al gelo, e Jet aveva tirato fuori discorsi assurdi, e poi…
No...
Dopo avere constatato con il braccio che non dormiva nessuno accanto a lei, si sollevò lentamente e si guardò intorno.
O porc…
Joe dormiva sul divano!...
Il più silenziosamente possibile si alzò e, un passetto alla volta, si infilò in bagno…
Non poteva crederci…
Il cuore batteva all’impazzata e il mal di testa non aveva più importanza…
Allora, pensa Françoise, pensa!...
Un’immagine della sera prima le si affacciò alla mente, lei che accarezzava…no! Pensa a qualcos’altro, a cosa fare ora per toglierti dal casino! Che vergogna! L’unica cosa sensata che riusciva a pensare era che doveva scappare da lì e svanire per i prossimi dieci anni, sì, forse dieci anni potevano essere sufficienti… magari poteva chiedere asilo politico nel Barein!...
Vabbè… nel frattempo, mentre farneticava, quasi in automatico aveva liberato lo stomaco dalle tossine… almeno ora si sentiva meglio e forse poteva elaborare un piano… aprì appena il rubinetto del lavandino per non fare troppo rumore, si lavò il viso con un filo d’acqua gelida, e infine si sciacquò la bocca e si lavò i denti con un po’ di dentifricio messo sulle dita…
Non si sapeva mai, almeno se doveva dargli una spiegazione non gli alitava in faccia tutto il dopo-sbronza.
Sta’ calma Françoise, sta’ calma!...
In punta di piedi uscì dal bagno ed ispezionò la stanza alla ricerca del vestito, che si trovava perfettamente piegato sulla sedia invece che buttato in malo modo ai piedi del letto, e al di sotto - quasi le dimenticava - spuntavano le scarpe, ben allineate… del resto Joe aveva una vera e propria mania compulsiva dell’ordine…
Ecco, ora doveva solo riprendersi il tutto e filarsela di nascosto, niente che un cyborg in gamba come lei non potesse affrontare…
Nel silenzio più assoluto arrivò alla sedia, e d’istinto, mentre afferrava il vestito e le scarpe, dette un’occhiata alla figura distesa sul divano.
Lui la stava guardando, e le passò un brivido lungo la schiena, non sapeva neppure bene a cosa fosse dovuto.
Decisa a non farsi condizionare gli aveva lanciato uno sguardo infastidito - neanche fosse stato lui l’idiota che si era ubriacato ed infilato nel letto altrui - e subito dopo si era avviata alla porta con l’aria più dignitosa che riusciva ad assumere, il vestito in una mano e le scarpe nell’altra… li avrebbe indossati fuori di lì - anche se con la sua fortuna sicuramente incontrava qualcuno mentre era ancora in slip e reggiseno -…
Ma come recitava una delle massime di Catherine: “Se hai fatto una cazzata, vai a testa alta e mantieni un’aria aggressiva!”…
Aveva fatto giusto un paio di passi quando lui le si era parato davanti, non si era neppure accorta che si fosse alzato.
Tentò in modo molto infantile di ignorarlo e di passargli di lato, ma lui l’aveva fermata per il braccio e non sapeva come, non capiva come - e questa era una metafora del loro rapporto in fondo -, si era ritrovata con le spalle al muro e lui vicino, così vicino… troppo vicino…
La studiava con quel suo sguardo intenso, bruciante, e lei si sentiva la gola secca, ma rispose al suo sguardo con sfida, perché era arrabbiata con lui, e non importava quanto ingiustificato e immaturo fosse questo atteggiamento, era molto meglio che vergognarsi… “Stai bene?...” stronzo… “E a te che te ne importa?” Ora lo sguardo di lui era più duro, schermato, perché bastava poco per farlo barricare dietro ad un muro, e lei odiava quando faceva così… doppiamente stronzo…
“Cosa c’è?”
“Arrivaci da solo!” replicò tentando di divincolarsi e liberare il braccio con cui la teneva ancora ferma, e intanto sbirciava di sottecchi l’agognata porta.
Joe aveva seguito il suo sguardo prima di mettersi a fissarla come se volesse…
“Vuoi farlo?”
Forse era quello sguardo, o la sua maledetta voce sensuale, o magari il fatto che lei era in biancheria e lui anche di prima mattina aveva un’aria così appetibile, ma le scarpe le erano scivolate di mano e lo aveva guardato un istante a bocca aperta, stranita.
Sicuramente aveva frainteso… giusto?
Lui aveva aggrottato la fronte e subito dopo aveva abbassato gli occhi, guardingo…
“Vuoi andartene da quella porta ed ignorarmi?” le specificò meglio…
Ah, ecco...
Nel frattempo non le aveva lasciato andare il braccio e se fosse stata furba lo avrebbe spinto via e si sarebbe data alla fuga - dieci anni in esilio nel Barein non erano così terribili, faceva caldo lì, le persone erano pure simpatiche e bastava ricordarsi di non bere troppo -, ma era come se tutta la tensione trattenuta in quegli ultimi mesi le stesse salendo dallo stomaco e le premesse in gola, e a questo punto era meglio esplodere che crollare…per di più, del tutto involontarie, le si presentavano alla mente immagini di quella notte…
Arrossendo le cacciò furiosa e lo fulminò con gli occhi, indignata…
“E perché mai non dovrei «farlo»?...” gli rispose sarcastica “…tu neanche ti sei degnato di dormire nello stesso letto con me!” e non era un’accusa ridicola come sembrava, perché quel comportamento l’aveva profondamente delusa, il letto era abbastanza grande per tutti e due ed in fondo non era mica un’appestata, di cosa aveva paura quel… quel...
Per un momento l’aveva guardata perplesso… stupido… e stronzo… tre volte stronzo…
“Avresti voluto che dormissi con te?”
“Sì… no...” si corresse mentre tentava ancora di divincolarsi, ma senza metterci vera forza “…non lo so!” ammise esasperata, voltando la testa a lato per non perdersi in quegli occhi scuri, impenetrabili… perché diavolo era ancora lì a chiedere amore, a sperare ancora? Era proprio patetica… “Stronzo…” borbottò poi, sempre più furiosa con se stessa, le braccia abbandonate sui fianchi, lo sguardo sulla vetrata che si stava riempiendo della luce rosea dell’alba… “Sarei uno stronzo perché ho dormito sul divano?” aveva replicato lui con un odioso tono di sufficienza, neanche lei fosse una povera squilibrata…
“Sì! Anche!” confermò, decisa a non umiliarsi ulteriormente nel vano tentativo di spiegarsi meglio, in fondo non era così assurdo pretendere che lui capisse una maledettissima volta da solo, no? Anzi, sicuramente capiva fin troppo bene, quel…
“Lasciami andare…” ringhiò…
Joe aveva immediatamente tolto la mano che le teneva il braccio, neanche fosse davvero un’appestata, e all’improvviso sentì freddo.
Forse sarebbe stata davvero la cosa migliore trasferirsi nel regno del Barein, almeno si risparmiava la tortura di vederlo ogni giorno…
“Sei uno stronzo perché sai solo rifiutare…” gli spiegò piena di amarezza, senza ancora voltarsi verso di lui, i pugni serrati dato che aveva così tanta voglia di prenderlo a schiaffi “…e perché anche questa notte, come al solito, come al tuo solito, mi hai respinta…”
“Eri ubriaca Françoise, volevi che mi approfittassi di te?”
“Non sia mai detto, un gentiluomo come te!...” gli disse ironicamente mentre si voltava a guardarlo “…anche se non mi sembravi così disgustato all’idea questa notte…” chiarì “…anzi, una parte di te era piuttosto d’accordo, o sbaglio?”
Lui non aveva battuto ciglio, il bastardo, per cui quel leggero rossore sul suo volto doveva essere stato un parto della sua immaginazione, forse…
“E la risposta alla tua domanda è sì…” concluse a denti stretti “…lo avrei preferito… almeno sarebbe stato qualcosa, invece del solito niente…”
Lui la studiava diffidente, con quei maledetti occhi che amava ed odiava contemporaneamente, che la confondevano ancora di più e parevano scottarle sulla pelle come un fuoco…
Era anche troppo vicino…
Come se non fosse abbastanza agitata…
Così vicino che le pareva di sentire il calore che il suo corpo emanava, e le faceva venire voglia di allungarsi appena e toccarlo, di sentirlo ancora più vicino.
Era proprio patetica…
Abbassò il capo per nascondere un’unica stupida lacrima di rabbia che le rigava la guancia, e continuò a guardare a terra, arrabbiata, forse rassegnata, fino a quando Joe non le aveva preso il mento tra le dita per sollevarle la testa, costringendola ad incrociare quegli occhi scuri che la cercavano ostinatamente, un po’ dubbiosi… “Non piangere Françoise… odio vederti piangere…” … oh grazie, questo l’aiutava molto, davvero... le scesero altre due lacrime…
“Non voglio farti soffrire…” le mormorò con dolcezza, e se continuava a parlarle così, a guardarla così, scoppiava a piangere, altro che smettere…
“Ma lo fai… lo fai…” sussurrò, lo aveva sempre fatto, e probabilmente avrebbe continuato a farlo…
“E cosa dovrei fare? Cosa vorresti da me?…io… io cerco solo di fare quello che è giusto…”
Quello che è giusto…
Lui la scrutava ancora con quel fuoco che la confondeva sempre, che… che la illudeva sempre, ed aspettava che lei parlasse, che gli spiegasse, ma cosa poteva dirgli? Che era delusa, che era stanca di aspettare, che… che lo amava?
Non poteva, non gli avrebbe fatto un’altra patetica dichiarazione d’amore, no, aveva giurato a se stessa che non si sarebbe mai più umiliata così - non era servito a niente in mezzo a quella giungla oscura con lo spettro della morte che alitava sulla sua pelle… non serviva a niente -, toccava a lui accidenti, toccava a lui dare un segnale, fare qualcosa per una volta, perché era lui quello che l’aveva rifiutata, che la rifiutava sempre, ed era lui quello che l’aveva baciata quella volta, possibile che non lo capisse? Che non volesse capirlo? Possibile che non riuscissero mai a capirsi loro due?
Questa incapacità di comunicare la straziava, in fondo era l’unica cosa che aveva sempre voluto, essere in sintonia con lui, invece si ritrovava sempre e ancora qui, con le lacrime che scendevano sulle guance ed il cuore spezzato… e il dubbio che forse non c’era niente da capire.
Ma a questo punto era stanca, stanca… stanca di aspettare qualcosa che non sarebbe mai arrivato, stanca di… di amarlo.
Stanca di farsi del male…
“Niente, non voglio niente Joe…” si arrese scostandogli la mano che ancora le teneva il mento “…non preoccuparti, anzi, scusami… davvero… scusa per tutto, scusa se ho esagerato…” continuò abbassando le palpebre, perché non ce la faceva più a sopportare il suo sguardo “…sono stata una stupida… non avrei mai dovuto provare ad esserti amica, perché noi due non possiamo essere amici…” concluse con amarezza, per non scoppiare veramente a piangere… lui non aveva più parlato, non aveva più provato a toccarla, e magari ora se ne sarebbe andato... e lei aveva paura di aprire gli occhi e scoprire che era davvero così, che era sparito dalla sua vita… per sempre… “Ho sbagliato a baciarti, ho rovinato tutto, mi dispiace…” le sussurrò dopo qualche minuto di silenzio...
Ecco, lo sapeva che sarebbe finita così, che le avrebbe detto così, ed ora non voleva più ascoltarlo, non voleva più guardarlo, voleva andarsene lei, lentamente, e dimenticarsi di quella notte, far finta di poter sistemare tutto, di poter ricominciare da capo ancora ed imparare una buona volta a non amarlo…
“Non mi meriti…” mormorò, ma la rabbia ormai si era stemperata in dolore, e quella frase non suonava cattiva come avrebbe desiderato...
“No, non ti merito…”
Stronzo…
“Sei una perenne delusione…” continuò amara “..per quanto poco io mi aspetti da te, riesci sempre a darmi ancora meno… come se non ci provassi neppure…”
Aprì gli occhi, decisa ad affrontarlo per l’ultima volta e ad uscire di lì a testa alta - in slip ma a testa alta -, e rimase un istante a fissarlo.
Se ne stava ancora immobile di fronte a lei, a studiarla a sua volta con uno sguardo nervoso, confuso, e sembrava così indifeso ora, così… dolce…
Istintivamente sollevò una mano e gli accarezzò il viso…
“Joe…” mormorò…
E in quel momento lui… lui aveva abbassato la testa e l’aveva baciata sulle labbra…
“È questo che vuoi?” le chiese con uno sguardo così intenso che pareva un pugno allo stomaco…
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Joe non aveva compreso perché diavolo si fosse arrabbiata tanto e perché diavolo avesse continuato ad insultarlo - o perché lui glielo avesse permesso -, non riusciva a seguire l’illogicità dei suoi pensieri, di quei ragionamenti.
Era davvero arrabbiata perché non l’aveva assecondata in quella farsa? Perché non aveva fatto l’amore con lei? Ma se si era persino addormentata!
Cominciava a stancarsi di provare a dare un senso a quelle assurdità - e il fatto che lei fosse seminuda non lo aiutava per niente -, e stava iniziando a pensare che forse doveva semplicemente mollarla lì ed andarsene, o scaraventarla fuori dato che erano nella sua di stanza, ma poi si era messa a piangere ed era cambiato tutto.
Odiava vederla piangere, odiava essere la causa delle sue lacrime, ma non era neanche tanto per quello, erano state le sue parole, quell’espressione triste, quell’atmosfera diversa… quasi di addio… all’improvviso, mentre lei gli parlava con quella sofferenza, con quell’acredine, mentre lo allontanava e lo guardava con quelle maledette lacrime agli occhi, come se aspettasse qualcosa, che lui facesse qualcosa, non sapeva cosa… aveva provato una sorta di panico, un panico che riconosceva: il panico di vedere qualcosa sfuggirgli tra le dita, qualcuno sfuggirgli tra le dita, qualcuno che amava, e non poter fare niente, non riuscire a fare niente… proprio come tanti anni prima…
L’aveva baciata preso dal panico, perché non voleva che se ne andasse, che lo lasciasse solo… non voleva più sentirsi solo…
Dopo la guardò alla ricerca di un segnale, positivo o negativo che fosse, tentando di capire: lei lo fissava a bocca aperta, senza fiato, ed era così bella in quel momento che senza pensare l’aveva attirata a sé per baciarla ancora.
Questa volta non era stato un bacio leggero, questa volta le sue labbra erano scese con violenza su quelle di lei e quando lei aveva aperto la bocca, la sua lingua l’aveva invasa con frenesia, come le mani che si muovevano sul corpo di lei, sui suoi fianchi, sulla sua schiena.
Lei gli si era avvinghiata addosso e lo baciava a sua volta, e non importava nient’altro in quel momento, mentre sentiva il corpo di Françoise stretto al suo, ed avvertiva un’euforia che confondeva i pensieri e sembrava bruciare la pelle.
L’aveva sollevata da terra velocemente ed insieme erano caduti sul letto, lei sotto di lui…
Continuarono a baciarsi, allacciati, il calore di quel corpo femminile così morbido, che si propagava alla sua pelle accaldata… lei gli tirava la maglietta e lui intanto scivolava con le mani sotto il reggiseno, sui seni nudi, per sentirli finalmente, per guardarli, e l’unica cosa cui pensava era che aveva bisogno di sentire lei, di averla, di seguire quell’istinto naturale, così primitivo e incontrollabile, e placare quel fuoco che lo bruciava.
Era da troppo tempo che la desiderava…
Si sollevò in fretta per sfilarsi la maglia e togliersi i pantaloni, e quando era rimasto nudo si era chiesto per un momento cosa stava facendo, perché questa era Françoise, era reale, la vedeva, la toccava, la sentiva, più vera di qualsiasi cosa avesse vissuto finora, e lui non sapeva se sarebbe stato capace di amare nuovamente…
Ma era così bella, lo attirava a sé come se lo volesse così tanto anche lei, e non c’era tempo per pensare mentre si sdraiava su di lei, non c’era tempo per i ripensamenti con il corpo di lei che fremeva sotto il suo, e neppure importava, perché voleva quell’unione, voleva lei, al punto che faticava a controllare quel desiderio animale che lo pervadeva… “Françoise…” le sussurrò accarezzandole il volto, baciandole quegli occhi azzurri che lo guardavano con un amore infinito…
Non voleva che questo fosse solo uno sfogo di un suo bisogno, per cui continuò ad esplorare quel corpo sinuoso, ogni centimetro di quella pelle morbida, con gli occhi, con le dita, con le labbra, lasciandosi guidare dall’istinto, e da quella parte di lui che voleva sentirla ansimare e gemere, che voleva vederla felice.
Cercò il suo volto: era bellissima con gli occhi socchiusi e il respiro ansante, bella come non l’aveva mai vista, e le baciò ancora le labbra, e il collo, mentre tremava per il desiderio che stava provando.
Con la mano iniziò a sfilarle gli slip…
“È questo quello che vuoi, Françoise?” le chiese di nuovo all’orecchio, con l’ultimo barlume di ragione…
“Sì…” aveva sussurrato lei “…non… non lo so…” si era corretta tremante, e lui si era imposto di fermarsi e si era sollevato per guardarla…
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Françoise lo guardava confusa, senza capire…
Lo faceva di proposito a chiederle ancora se lo voleva? Adesso? La stava provocando?
Al momento non era in grado di pensare coerentemente, e agognava ancora i suoi baci, le sue mani su di lei, era quello che voleva: lui, il suo amore… eppure una parte di lei aveva paura, una parte di lei sentiva di avere bisogno di altro, di volere di più, e avrebbe voluto dirglielo, spiegargli, solo che non aveva le parole, non era lucida, non abbastanza ora, non lo era mai con lui…
Joe non diceva niente e la fissava ansimante, lo sguardo pieno di desiderio, e forse era solo quello che gli interessava, forse era una mera questione di ormoni…
Si sentiva triste, rassegnata, perché temeva di illudersi, e non riusciva a capire…
Lui non parlava, ma la guardava… la guardava, ed era come se la guardasse con amore anche se forse era solo sesso, così lei aveva iniziato a sfilarsi gli slip, facendoli scivolare sulle gambe mentre lui contemplava il suo corpo quasi volesse fissarlo nella memoria, e la accarezzava lentamente...
Intanto tremava, ancora una volta delusa, ma non importava, perché si sentiva anche fremere sotto quello sguardo, sotto le sue dita, e il suo corpo bruciava ancora per l’eccitazione che lui le aveva risvegliato, e se… se doveva essere un addio voleva viverlo fino in fondo; se non riusciva a comunicare con le parole lo avrebbe fatto con il corpo, e almeno… almeno per una volta lo avrebbe sentito suo.
Non era esattamente quello che aveva sperato di fare quella notte, quando gli era piombata in camera? Se non altro ora era sobria e se lo sarebbe ricordato…
Così si era aggrappata a lui, circondandolo con le braccia e le gambe, accarezzando, baciando ogni tratto di pelle che riusciva a raggiungere, come faceva lui, assecondando quel bisogno impellente, quasi violento, di fondersi, di sentirlo per una volta vicino.
I loro corpi aderivano l’uno all’altro e l’erezione di lui premeva contro di lei…
“Joe…” mormorò ansimante quando lui l’aveva sfiorata con le dita, portandosi sopra di lei…
Lo aveva sentito spingere appena e si era aggrappata a lui con più forza, muovendo istintivamente i fianchi verso di lui, per aiutarlo, e quando era entrato aveva serrato gli occhi ed aveva trattenuto il respiro…
Non c’era stato un grande dolore – in fondo erano pur sempre cyborgs – e la sensazione di averlo in sé, di avere Joe dentro di lei, era soffocante, mozzafiato… «se questa è l’unica nostra occasione», fu l’ultimo pensiero coerente, «la voglio godere fino in fondo», e dopo aveva lasciato che il corpo si muovesse d’istinto, come se non fosse suo, come se fosse di Joe, come già lo erano i suoi pensieri, e il suo cuore…
“…amore mio…” sussurrò mentre lo sentiva spingere dentro di lei, mentre si perdeva in lui, e lo toccava, lo assaporava, lo accoglieva con ogni parte di sé: tutto era Joe in quel momento, mentre il piacere continuava a salire, e salire, pronto ad erompere, e quel fuoco che la bruciava sembrava un’onda gigantesca che tentava di travolgerla, se solo si lasciava andare, se si lasciava finalmente andare…
Continuò a muoversi con frenesia fino a quando qualcosa dentro di lei era sembrato cedere e trascinarla via, lontano, con lui, soltanto con lui…
Lentamente riemerse da quella marea in cui galleggiava, e lo strinse forte quando lui si abbandonò a sua volta su di lei, ancora dentro di lei, il volto sul suo collo…
Aveva lasciato che si spostasse, sentendosi improvvisamente vuota, e si voltò a guardarlo senza sapere cosa aspettarsi.
 Lui la fissava a sua volta… dolcemente… e nel vederlo così rilassato le veniva da sorridere: per una frazione di secondo si chiese perché non lo avevano fatto prima se lo rendeva così sereno… allungò una mano e gli accarezzò il volto, e sapeva di guardarlo colma di amore… non voleva che finisse, pensò con un brivido… “È stata la prima volta per me…” mormorò continuando ad accarezzargli il viso… lui aveva sorriso… ed era qualcosa di meraviglioso…
D’impulso si strinse ancora a lui e lo abbracciò con foga, con disperazione…
Lui l’aveva abbracciata a sua volta e stava bene così, era al caldo, era a casa, felice come non si era mai sentita, come non si era mai potuta sentire, se lui non c’era…
“Dimmi che non era un addio…” lo implorò “…dimmi che è stato qualcosa anche per te…”
“Hai così paura che ti faccia del male?...” le aveva sussurrato sulla pelle, accarezzandole i capelli…
“Me ne farai?” gli chiese allora, e lo teneva stretto a sé per impedirgli di sollevarsi come tentava di fare…
“È solo…”
“Solo?” gli domandò spaventata, il cuore che iniziava ad accelerare i battiti…
“…lo sai anche tu che noi due non andiamo bene insieme…” le aveva  risposto, e non si rendeva neppure conto di rifiutarla per l’ennesima volta “…meriti qualcosa di meglio di un ex teppista di strada che non sa ancora bene cosa fare della propria vita, se così si può chiamare questa vita da automa… meriti tanto di meglio…”
“E non merito un tentativo?” mormorò incerta, sconfortata, delusa per l’ennesima volta, e avrebbe voluto guardarlo in faccia, vedere i suoi occhi, ma aveva bisogno di sentire quel calore, quel contatto, e non voleva lasciarlo andare.
Lui aveva provato ad alzarsi di nuovo, e poi le aveva baciato il collo…
“Non capisci…” le aveva sussurrato “…tu sei tanto importante per me, troppo, e non voglio farti del male... ma ho paura che te ne farei, perché non sono in grado di prendermi cura di te, di amarti come vuoi tu… come un vero essere umano… capisci?...” aveva concluso in fretta, con urgenza, quasi temesse di poter cambiare idea “…sono io che non ti merito…”
E se non fosse stato Joe, se non lo avesse conosciuto così bene, avrebbe pensato ad una scusa, ad una fuga, ma era Joe, e lui non scappava per quanto avesse paura, faceva solo quello che riteneva giusto.
Solo che questa volta non aveva capito proprio niente…
Si avvinghiò ancora di più a lui, continuando ad accarezzarlo, a far scivolare le dita sulla schiena di lui, e poi le unghie, e lui aveva affondato ancora il naso nel suo collo…
“Françoise…”
Continuò a stringerlo con tutta la forza che aveva...
“Ascoltami…” si decise, perché ci aveva provato ma non riusciva ad uscirne, ed a questo punto doveva arrendersi e fare quella benedetta dichiarazione, evidentemente toccava sempre a lei “…sono cresciuta, cambiata, ed anche il mio sentimento per te è cambiato con me… ma in fondo è sempre lo stesso, quello di quando siamo fuggiti da quella maledetta giungla… non posso farci niente… ti amo Joe, voglio te, e questa non è una missione in cui vince il migliore...” gli spiegò affondando le unghie nella sua schiena, e ora non le importava di fargli del male, forse voleva fargli del male “… io non sono un premio…” solo una donna che ti ama… “…siamo io e te… e se davvero sono così importante per te devi almeno provare… non ti chiedo altro…” concluse stringendolo, fino a fargli male davvero, per tentare di annullare ogni barriera, di fondersi ancora con lui… di farlo entrare in lei, nei suoi pensieri, come era entrato nel suo corpo…
“Vuoi provare a far funzionare questa cosa con me, sì o no?” insistette…
“Sì… voglio provare…” si arrese lui, stringendola a sua volta…
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I cyborgs si accingevano a tornare a casa dopo aver salutato tutti…
Era andato tutto bene: a quanto pareva avevano ragione gli altri ed era lei la paranoica… si voltò a guardare per l’ennesima volta il viso stanco e rilassato del suo Joe… dato che era suo ormai… e a riprova di questo indiscutibile fatto gli prese la mano e la strinse forte…
Più tardi, dopo che aveva generosamente concesso ad Albert di rubarglielo per un istante - era possessiva, ma ne aveva anche diritto con tutto quello che l’aveva fatta penare lui - le si affiancarono Catherine e Jet, una da una parte e uno dall’altra, sembravano il gatto e la volpe…
“Allora, tu e Joe avete combinato qualcosa?” questo era Jet... 
“Non vedi l’aria soddisfatta e lo sguardo sognante?” e questa invece era Catherine...
Françoise li ignorava, tutta intenta a guardare il suo amore...
“Beh, l’aria soddisfatta la capisco, finalmente c’è riuscita dopo tanto tempo…”
“Tanto Jet, tanto davvero… e hai notato che non ti ha rimproverato per le tue battute? Neanche ti ascolta…”
Non che Françoise prestasse loro molta attenzione in effetti…
Dette un’ultima occhiata alle sue spalle, al deserto che si estendeva a vista d’occhio, interrotto soltanto da oasi al di sopra delle quali crescevano i giardini pensili, l’unica macchia di verde in mezzo alla sabbia e all’azzurro pallido del cielo…
Il regno del Barein avrebbe avuto per sempre un posticino speciale nel suo cuore, pensò, sentendosi perfettamente soddisfatta di dov’era e di quello che aveva, come non le capitava ormai da anni, da quando era solo una bambina che camminava sicura tra mamma e papà, e sognava…

 

© 02/04/ 2012

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